Alternative sostenibili post-covid: cosa sono gli ecomusei?

[Articolo pubblicato su Finestre sull’Arte, 20/05/2020]

[Immagine in copertina: Museo Comunitario Indigeno Yimba Cajc (Rey Currè) in Costa Rica]

In tempi come questi, difficili, e che spingono alla ricerca creativa, ci accorgiamo di quanto sia fondamentale muoversi, senza uscire di casa. In tempi così complicati apprezziamo il fatto che molti musei e istituzioni d’arte abbiano digitalizzato opere e contenuti, fornendo come da loro natura un servizio pubblico. Possiamo accedervi da remoto, entrando sui social, accedendo ai siti web dell’istituzione o del ministero o entrando in alcune piattaforme digitali (come Google Arts&Culture).

Si parla di riaperture, ma per i luoghi della cultura (non solo musei, ma anche teatri, cinema, spazi pubblici) ci sarà da aspettare ancora un po’ di tempo. A livello internazionale, proposte di ripartenza nel settore museale sono state avanzate dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), nel webinar aperto: “Coronavirus (COVID-19) and museums. Impact, innovations and planning for post-crisis”. Il “Decreto Cura Italia” aveva iniziato a stanziare fondi per i settori dello spettacolo e del cinema e audiovisivo (DL 18/20) e ora nel Decreto Legge Rilancio il Consiglio dei Ministri ha approvato lo stanziamento di 5 miliardi di euro, indirizzati principalmente ai musei statali, alle imprese culturali, alla promozione turistica e agli investimenti. Purtroppo non una parola sulle prospettive di sostenibilità che il settore culturale deve iniziare urgentemente a implementare.

problemi da affrontare dopo la crisi nel settore museale (la punta dell’iceberg dell’intero mondo della cultura e delle industrie creative che si sono fermate) saranno molti, e non solo in Italia, come riporta The Network of European Museum Organisations (NEMO), tutela e manutenzione, perdite finanziarie (per i grandi musei pubblici si aggira attorno ai 100.000-600.000 euro a settimana), ancora più pregnante diminuzione dei finanziamenti nel settore, per non parlare della drammatica situazione del lavoro culturale. In occasione dell’incontro virtuale con i Ministri Europei della Cultura, lo scorso 22 aprile, il ministro dei beni culturali Dario Franceschini aveva invitato alla ripartenza sotto un’ottica di “Rinascimento globale”. La speranza che questo Rinascimento, basato su cultura ed educazione, ci sia, è anche la speranza che esso avvenga: 1. in netta discontinuità con le precedenti politiche di accentramento di finanziamenti e forza lavoro nei confronti dei grandi musei, ora non disperse sapientemente in tutto il territorio italiano; 2. attraverso il riconoscimento del vasto tessuto di lavoratori culturali che fa vivere questo paese, fatto di artisti, professionalità creative che da sempre non vedono riconoscersi un’identità professionale né i diritti che ne conseguono e di operatori nel settore delle arti e dello spettacolo che raramente hanno conosciuto una realtà lavorativa fuori dal precariato; 3. quanto più possibile ponendo un freno al turismo di massa di cui numerose città italiane conoscono molto bene gli effetti. In poche parole: deve avvenire sotto la parola chiave della sostenibilità ambientale e socialeDefinita come quella “condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”, è evidente come questa debba tenere conto non solo degli aspetti tecnologici ma (e direi soprattutto) della società, della cultura, del vivere collettivo. In “Sustainability and Local Development” ICOM riconosce i musei come quei luoghi in grado di “posizionarsi come agenti sociali vitali”. Ecco qui che riaffiora tutto il dibattito sui beni comuni. Ci è molto chiaro in questi tempi di quanto lo sia e lo debbano essere salute, assistenza sanitaria, istruzione. Ma sempre in questi tempi, come dicevamo prima, sappiamo anche quanto debbano essere considerati realmente “comuni” anche quei beni che definiamo “culturali”: storia, conoscenza, arte.

Siamo sicuri che la forma museale come la conosciamo sia l’unica in grado di applicare i principi di sostenibilità? Ripensare al sistema della cultura una volta usciti da questa pandemia è qualcosa che sostengono in molti, tra studiosi e direttori di musei. Per cui è il momento (ma lo era anche prima) di pensare, anche con un po’ di fantasia, a modelli alternativi ai musei tradizionali. Senza proporre alcun rimpiazzo, bisogna senz’altro allungare lo sguardo su tutte quelle numerose realtà museali che coinvolgono direttamente la comunità territoriale, che mettono in luce il “patrimonio” culturale quale bene comune. Gli ecomusei e i musei di comunità. Il coniatore del termine, Hugues de Varine, afferma come il patrimonio culturale “vivo”, una volta integrato nel vivere quotidiano, possa migliorare gli standard di vita, creare occupazione e soddisfare le esigenze della popolazione: “essendo propulsore di sviluppo, il patrimonio dovrebbe essere maneggiato come una risorsa creativa, non rinnovabile, per la stessa comunità nel suo insieme e per ogni suo membro o gruppo interno”. Il pensiero va a quello che viene definito Common Heritage (Patrimonio Comune), e cioè quel patrimonio “che viene identificato come importante per la comunità locale, un villaggio, un distretto, un quartiere, un gruppo etnico, con la totalità della sua popolazione, di qualsiasi origine, stato amministrativo, età o background sociale” (de Varine). Esistono, appunto, queste “piccole” realtà che sono riuscite ad applicare la nozione di bene comune culturale ai concetti di arte, cultura e creatività.

Ma che cosa sono esattamente gli ecomusei? La parola ne unisce due. Una è eco (da oikos, “casa” o anche “ambiente) e l’altra è museo, luogo adibito, secondo la definizione dell’International Council of Museums (ICOM), alla libera fruizione, studio e ricerca sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, acquisendole, conservandole, comunicandole e esponendole “per scopi di studio, educazione e diletto”.Secondo il Documento strategico degli ecomusei italianigli ecomusei

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Centro Cultural Museo y Memoria de Neltume in Cile

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